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    Le autocoscienze dell’essere umano

    الحلاجي محمد
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    مُساهمة من طرف الحلاجي محمد الأحد 31 أكتوبر - 19:02:34

    Le autocoscienze dell’essere umano
    L’essere umano possiede coscienza di se stesso e delmondo e tende inoltre a voler divenirne sempre più consapevole. Il suoperfezionamento, il suo miglioramento e la sua beatitudine dipendono da questidue tipi di consapevolezza.

    Non è facile giudicare quale di queste due sia dimaggior importanza rispetto all’altra. Alcuni valutano l’autocoscienzasuperiore alla coscienza del mondo, altri pensano il contrario. Il differenteapproccio rispetto a ciò rivela un aspetto della differenza cheintercorre tra il modello di pensiero occidentale e quello orientale. Uno degliaspetti che differenziano la conoscenza e la fede può essere rivelatodal fatto che l’acquisizione del sapere è uno strumento verso la coscienza delmondo, mentre la fede è un mezzo per l’autocoscienza.

    In ogni caso, l’apprendimento mira ancheall’autocoscienza, ed è quello che attualmente fa la psicologia. Laconsapevolezza che si ottiene dalla conoscenza resta comunque statica e senzavita. Essa non evoca emozioni nell’essere umano, non risveglia le sue forzedormienti, al contrario dell’autocoscienza concessa dalla religione e che nascedalla fede. L’autocoscienza religiosa si estende all’intera esistenza umana.

    La consapevolezza che ricorda all’essere umano il vero“Sé”, che elimina il suo oblio, che infiamma la sua anima e lo sveglia, non èil prodotto della scienza e della filosofia. Le scienze e le filosofie lorendono alieno verso se stesso e sono la causa della dimenticanza del vero“Sé”. Questo è il motivo per cui vi sono molti filosofi e sapienti insensibilie incoscienti di “Sé” e, al contrario, molte persone semplici e illetterate chene sono pienamente coscienti.

    L’appello all’autocoscienza quale “Chi conosce sestesso conosce il suo Signore” e “Non dimenticare il tuo Signorecosì da non dimenticare te stesso”, è il riferimento di tutti gliinsegnamenti religiosi. Il Sacro Corano recita:

    “Non siate come coloro che dimenticano Allah ecui Allah fece dimenticare se stessi. Questi sono i malvagi”. (Sacro Corano, Sura al-Hashr, 59:19).

    È riferito che il Profeta (S) una volta disse:“Chiunque conoscerà se stesso conoscerà il suo Signore”.

    E l’Imam 'Ali (A) affermò che “Laconoscenza di Sé è la più benefica di tutti i tipi di conoscenza”.In un’altra occasione egli disse: “Mi sorprende che colui che perde qualcosala cerchi, mentre chi perde se stesso non lo faccia!”.

    La principale critica rivolta alla cultura propriadell’Occidente moderno dagli intellettuali di altre parti del globo è quella diessere una cultura basata sulla conoscenza del mondo ma dimentica dell’essereumano.

    In questo tipo di cultura, l’essere umano è soltantoin grado di conoscere il mondo. Più egli consegue una conoscenza del mondo, piùdimentica il proprio essere. Questo è il reale motivo della perdita di umanitàin Occidente. Per parafrasare le parole del Sacro Corano, se l’essere umanoperde il proprio “Sé”, a che serve la sua supremazia sul mondo?

    La più forte critica alla cultura occidentale riguardoquesto aspetto viene dal defunto leader dell’India, Mahatma Gandhi (1869-1948).Nel suo libro “La mia religione”[36] Gandhi scrive: “Unoccidentale è capace di fare grandi cose che altre culture considererebberopossibili solo a Dio. Eppure egli è incapace di riflettere sul suo Séinteriore. Questo basta a rivelare l’assurdità dell’ingannevole fascino dellamoderna civilizzazione”.

    Egli scrive inoltre: “Che la civilizzazioneoccidentale abbia guidato gli occidentali verso le bevande alcoliche e lapromiscuità sessuale, è dovuto al fatto che gli occidentali vanno più sulsentiero dell’oblio e della rovina del proprio “Sé” piuttosto che sulla viadella sua scoperta. Molte delle loro grandi realizzazioni e buone azioni sonobasate sull’oblio di sé e sulla futilità. La loro supremazia pratica nellescoperte, invenzioni e strumenti militari nasce dalla loro fuga e non dal loroautocontrollo. Se l’umanità perde la sua anima, qual è l’utilità dellaconquista del mondo?”.

    Gandhi continua poi: “C’è un’unica realtà nel mondointero, ed è quella della conoscenza di sé. Chiunque conosce se stesso, conosceDio e le altre creature. Chiunque è privo di tale conoscenza è privo di ogniconoscenza. Nel mondo c’è solo un’unica forza, un unico tipo di libertà eun’unica forma di giustizia, e questo è il potere di dominare su se stessi.Chiunque ha il dominio su se stesso, ha il dominio sul mondo. C’è una solaspecie di virtù, ed è il fatto di amare gli altri come si ama se stessi; inaltre parole, considerare le altre persone come si considera se stessi. Ilresto è illusione e nullità”.[37]

    Nel complesso, sia che si valuti l’autocoscienza al disopra della coscienza del mondo o viceversa, o li si consideri uguali, è certoche la crescita di consapevolezza garantisce lo sviluppo della vita umana. Inaltre parole, l’anima umana eguaglia la consapevolezza, e la consapevolezzaeguaglia l’anima umana. Più vi è consapevolezza, più in alto è l’anima.

    Questo è affermato anche dal poeta Jalal ud-Din Rumi[38],dove dice: «L’anima è la conoscenza delle prove, coloro che hanno unaconoscenza maggiore hanno anime superiori. Le nostre anime oltrepassano quelleanimali; poiché le nostre hanno maggiore conoscenza. Gli angeli hanno anime maggiormenteelevate rispetto alle nostre, poiché essi sono puri dalle passioni animali. Masuperiore all’anima degli angeli è l’anima di coloro che sono padroni dei lorocuori, quindi non ti devi meravigliare! È per questo che gli angeli siprosternano davanti agli uomini, perché le anime degli uomini sono superioriall’esistenza degli angeli. Altrimenti che senso avrebbe comandare a un esseresuperiore di prosternarsi davanti a uno inferiore? È forse appropriato,secondo la giustizia e la misericordia di Iddio, che un fiore si prosternidavanti a un rovo? Quando l’anima cresce va al di là dell’immaginabile e tuttele cose passano sotto il suo comando. {In ordine gerarchico} l’uccello, ilpesce, l’angelo, infine l’uomo, poiché la sua anima è superiore e la loroinferiore.
    Cos’è l’anima?È conscia del bene e del male, è infelice nella sventura, è lieta nellaprosperità. Il segreto e la natura dell’anima è nella conoscenza, l’anima piùcosciente è quella più elevata. Per l’anima è necessario che il cuore siaconsapevole, chiunque é più consapevole, ha un’anima più forte. Laconsapevolezza influisce sull’anima: possiamo dire che chiunque abbia maggiorconsapevolezza di se stesso “ha più anima”. Poiché l’anima è un mondo pieno diconsapevolezza, chiunque non abbia anima è privo di conoscenza».[39]

    L’essere umano otterrà quindi un’anima superiore inproporzione alla sua maggiore consapevolezza del mondo e di se stesso. Ilpossesso dell’anima è, nelle parole dei filosofi, una realtà graduale. Essa havari livelli. Così come avviene un graduale avanzamento nel livellodella consapevolezza dell’essere umano, così cresce il grado della suavita e della sua anima.

    È ovvio che la coscienza di Sé che stiamotrattando non è quella che appare su una carta d’identità (nome, il nome delpadre e della madre, il luogo di nascita e quello di residenza).
    Non è una coscienza di sé biologica (che l’essereumano abbia un grado più alto rispetto agli orsi, delle scimmie, ecc.).Lasciando da parte questi tipi di coscienze di sé, le autocoscienze vere sonodi alcuni tipi, che tratteremo di seguito.


    1. Autocoscienza innata

    L’essere umano è intrinsecamente una creaturaautocosciente; la sua sostanza è l’essenza stessa della coscienza. Non è veroche il “Sé” dell’essere umano è stato creato per primo, e che successivamenteegli si rende cosciente di esso. Con la creazione del “Sé” si è formata anchel’autocoscienza stessa. A questo stadio elementare il cosciente, la coscienza ela cosa di cui si acquisisce coscienza sono un’unica cosa. Il “Sé” è una realtàcorrispondente alla facoltà di percepire il mondo interiore.

    Nei momenti successivi di sviluppo, quando l’essereumano diviene più consapevole degli oggetti intorno a lui, egli ottiene anchel’autocoscienza; egli si forma un’immagine del proprio essere nella sua mente.In altre parole, egli ottiene una consapevolezza di sé attraverso le cognizioniacquisite. Prima di essa, comunque, egli è, in qualche modo, consapevole di se stessoattraverso la comprensione intuitiva.

    Gli psicologi che si occupano delle controversiesull’autocoscienza, pongono maggiore attenzione allo stadio secondario dellaconsapevolezza, ottenuta attraverso la conoscenza acquisita e mentale, mentrele facoltà mentali raggiunte attraverso la conoscenza intuitiva sono dimaggiore interesse per i filosofi: questo genere di consapevolezza è quello chein filosofia viene descritto come una della prove più convincenti perl’“immaterialità dell’anima”.

    In questo tipo di autocoscienza non c’è nessun dubbioo domanda del tipo: “Io sono oppure no? E se sono, allora chi sono?”. Questeincertezze sorgono ove la conoscenza e la consapevolezza devono ancora essereacquisite, dove l’essere dell’oggetto di cui si è preso coscienza è diversodall’essere della coscienza stessa.

    È impossibile, infatti, che esistano dubbi dovela conoscenza è intuitiva e innata, cioè dove la coscienza, il cosciente e lacosa di cui si apprende sono un tutt’uno.
    Il principale errore nel ragionamento di Cartesio[40]è l’assenza di fondamento dell’incertezza dell’“Io sono”. Egli avevadubbi su questa realtà e, quindi, doveva rimuovere i suoi dubbi ricorrendoall’“Io penso, quindi sono”.

    Sebbene l’autocoscienza innata sia reale, non la sipuò acquisire; essa è insita nell’“Io” umano. Da ciò sievince che non è questo tipo di autocoscienza, che si crea in modo intrinsecodal cambiamento dell’essenza della natura, che dobbiamo ricercare.
    Il processo di conversione della materia inconsciadell’esistenza umana nella sostanza spirituale cosciente è menzionato nel SacroCorano, dove sono elencati gli stadi dello sviluppo del feto nel grembomaterno, e a proposito del suo ultimo stadio è scritto:

    “…E quindi ne facemmo un'altra creatura…” (Sacro Corano, Sura al-Mu'minun, 23:14).


    2. Autocoscienza filosofica


    I filosofi cercano di scoprire la realtà dell’“Iocosciente”, e capire se esso è sostanza o accidente, immateriale o materiale etrovare la sua relazione con il corpo. Essi cercano di esaminare e capire se lasua apparizione avviene prima, dopo o in concomitanza alla creazione del corpo,se esso sopravvive al corpo oppure no e così via.
    In questo stadio dell’autocoscienza, la questioneprincipale è la natura e la realtà del “Sé”. Se un filosofo afferma di avereautocoscienza, egli afferma di conoscere la natura e la sostanza dell’“Io”.


    3. Autocoscienza universale

    Questo termine denota la coscienza del proprio “Sé” inrelazione con il mondo: “Da dove veniamo, dove siamo, dove stiamo andando?” Inquesto tipo di autocoscienza l’essere umano scopre che egli è una piccola partedi un tutto chiamato “mondo”. Egli scopre di non essere un individuoindipendente, ma che, al contrario, è dipendente; egli non è nato per contosuo, egli dipende da altri per la sua vita e non è in grado di determinare lasua morte. Egli si sforza di determinare la sua posizione in seno a questotutto che è il mondo.
    Questo tipo di autocoscienza è chiaramente illustratadalle parole dell’Imam 'Ali (A): “Possa Allah benedire colui che conosce dadove viene, dove si trova e dove sta andando”.
    Essa dona all’essere umano una delle più pure e piùsublimi sensibilità, che non esiste in nessun’altra specie di animale ocreatura: la sensibilità del voler ottenere la verità.

    Questo tipo di autocoscienza lo induce sulla via dellaconoscenza della verità e della ricerca della certezza, che lo disorienta conil fuoco del dubbio e dell’incertezza, spingendolo da una parte all’altra; ilfuoco che infiammò uomini come al-Ghazālī,[41]un fuoco che lo rese così inquieto da farglidimenticare di nutrirsi e dormire e indurlo a rinunciare alla sua cattedra aNizamiyyah per vagare nei deserti e vivere una vita di riflessione in terrestraniere per anni[42]; lo stesso fuocoche indusse 'Unwan di Basra[43] a lasciarela sua patria e spendere la sua vita nella ricerca della Verità.
    È questo tipo di autocoscienza che inducel’essere umano a preoccuparsi per il suo futuro.


    4. Autocoscienza di classe

    L’autocoscienza di classe è una delle forme diconsapevolezza sociale. È la coscienza del proprio “Sé” in relazionealla comunità cui si appartiene.

    Nelle società divise in classi sociali, ogni individuoappartiene necessariamente a una certa categoria in base allo stile di vita eai privilegi di cui gode o di cui è privato. La comprensione della situazionedella propria classe e della propria responsabilità rispetto ad essa è definita“autocoscienza di classe”.

    Secondo alcune teorie l’essere umano non possiedenessun “Sé” oltre a quello della classe a cui appartiene. Il “Sé” di unindividuo è la sua coscienza: l’insieme delle sue emozioni, pensieri, dolori einclinazioni; tutte queste sono delineate entro la propria “classe”. Idifensori di queste idee credono che l’essere umano in realtà sia privo di“Sé”; che sia un essere oggettivo, non soggettivo. Una creatura oggettiva, essidicono, è solo individuata entro la classe sociale di appartenenza. L’individuoè non-esistente. Sono le masse e le élite che esistono. Solo in una societàsenza classi l’essere umano può realmente realizzarsi. In una società diclasse, quindi, l’autocoscienza sociale non è altro che l’autocoscienza diclasse.

    L’autocoscienza di classe così definitapuò essere denominata “coscienza dell’interesse” in quanto basata sullafilosofia per cui gli interessi materiali costituiscono il fondamento delcarattere dell’individuo e si presentano come la forza principale che agisce sudi esso.

    In questo schema l’economia è consideratal’istituzione di base della struttura sociale, e gli interessi materiali comunisono considerati come l’origine della “coscienza comune”, del “gusto comune” edel “giudizio comune” che i membri di una certa classe condividono. La vita diclasse fornisce all’essere umano un discernimento di classe che lo induce aguardare e a interpretare il mondo e la società in modo particolare, daun’ottica precisa e con il punto di vista della propria classe sociale.Ciò lo induce a manifestare una solidarietà di classe e ad affrontaregli affari sociali in base a una prospettiva di classe. Il marxismo sostienequesto tipo di autocoscienza, ed essa può dunque essere definitaautocoscienza marxista.


    5. Autocoscienza nazionale


    Questa è la coscienza del proprio “Sé” nella suarelazione con le persone con le quali si condividono legami etnici. Le personesi avvicinano a una specie di unione quale risultato del loro vivere una vitacon leggi, costumi e tradizioni comuni, una comune storia di vittorie e disconfitte, una lingua, una letteratura e una cultura comuni. In altre parole,così come un individuo possiede il “Sé”, cioè conosce se stesso, ungruppo di persone o una nazione hanno un “Sé nazionale”.

    La cultura comune è più efficace della razza comunenella creazione dell’unità tra gli esseri umani. Con il supporto culturale, lanazionalità può unire tutti gli “Io” in un unico “Noi”. Puòindurre la gente a sacrificarsi per il “Noi”, a gloriarsi per il successo evergognarsi della sconfitta. L’autocoscienza nazionale è allora la coscienzadella cultura nazionale, del carattere nazionale, del “Noi” nazionale.

    Autocoscienza nazionale significa consapevolezza dellacultura nazionale, della “personalità nazionale” e del “Noi” specificonazionale. Nel mondo non esiste una sola cultura, ma esistono vari saperi eognuno di essi ha una natura, degli attributi e delle diversitàcaratteristiche: per questo il concetto di una cultura unica non hasignificato. Il nazionalismo, che si è originato e diffuso nel diciannovesimosecolo, e che è sempre più o meno in voga, è basato su questa filosofia.

    Contrariamente all’autocoscienza di classe, per laquale tutte le emozioni, valutazioni, giudizi, prese di posizioni e cosìvia, provengono dalla prospettiva di una certa classe, nell’autocoscienzanazionale ogni cosa ruota attorno al nazionalismo.

    Essa non è della categoria della “coscienza delguadagno”, ma ricade comunque nella categoria dell’egoismo, in quanto incarnatutti gli effetti dell’egoismo come il pregiudizio, il favoritismo, l’egotismo,l’ammirazione di sé e l’ignoranza dei propri difetti. Di conseguenza,l’autocoscienza nazionale è, come l’autocoscienza di classe, priva di aspettimorali.


    6. Autocoscienzaumana

    Questo termine indica la coscienza del proprio “Sé”nella sua relazione con tutti gli esseri umani. Questo tipo di autocoscienza èbasato sul principio che tutti gli uomini formino una unità reale e tuttigodano di una “coscienza umana comune”, essendo la filantropia e l’umanitàtratti essenziali di tutti gli esseri umani. Sa'di[44]disse:

    I figli diAdamo sono membra di un unico corpo;
    perché sonostati creati dalla stessa materia.
    Se unavvenimento turbasse un organo,
    gli altrinon potrebbero rimanere tranquilli.
    Se davantialle sofferenze della gente rimani indifferente,
    non seidegno di essere chiamato “essere umano”.[45]

    Filosofi come Auguste Comte[46]sono stati e sono tuttora impegnati nel definire la “religione dell’umanità”nella contemplazione dell’autocoscienza umana.

    L’Umanesimo, che è la filosofia prevalente del nostrotempo e che si considera fondata sulla ragione, si basa sull’autocoscienzaumana. Esso nega ogni tipo di discriminazione e distinzione e vede l’essereumano come una singola unità oltre la classe, la nazionalità, la cultura, lareligione, il colore della pelle, la differenza di razza e di sangue. La“Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” è nata considerando tale autocoscienza alfine di diffondere questa filosofia.

    Un individuo in possesso di un’autocoscienza umana soffreper l’agonia dell’umanità, spera nelle autentiche aspirazioni dell’essere umanoe dirige i suoi sforzi, le sue amicizie e inimicizie solo per il beneficio delgenere umano. Essere amico degli amici dell’uomo significa conoscenza, cultura,salute, benessere, libertà, giustizia, bontà ed essere nemico dei suoi nemicisignifica ignoranza, povertà, tirannia, malattia, pregiudizio e oppressione.

    L’autocoscienza umana, diversamente da quella di tipoclassista e nazionale, è di tipo morale: essa è la più logica e quella di cuisi è parlato di più. È però la meno materialistica di tutte.Perché? La risposta è nascosta nella stessa esistenza e realtà dell’essereumano.

    La realtà e l’esistenza dell’essere umano differisconoda quelle di tutte le altre creature di Dio, animate e inanimate, poiché essesono così come sono state create. Indipendentemente dalla loro natura edalla loro realtà, i loro attributi rimangono esattamente come sono statiforgiati nell’atto della Creazione. L’essere umano, invece, incomincia ainterrogarsi su “cosa essere” e “come essere” sin dalla sua creazione. Egli nonè ciò che è stato creato; è piuttosto quello che intende essere: sisvilupperà secondo l’insieme dei vari fattori educativi, tra i quali la propria“volontà” e “scelta”. In altre parole, per quanto riguarda la natura di cosaessere e come essere, tutte le cose sono state create effettivamente come sono,mentre l’essere umano è un essere potenziale.

    Ciò implica che i “semi" dell’umanitàesistono potenzialmente nell’essere umano e, a patto che essi siano protetti dallevarie influenze nocive, gradualmente cominceranno a svilupparsi nel campofertile della sua esistenza, e sono proprio questi i suoi aspetti innati cheformeranno poi la “coscienza” umana e innata.

    L’essere umano possiede una “persona” assieme a unapersonalità, diversamente dagli oggetti inanimati e dagli animali. La personadell’essere umano, cioè i suoi sistemi corporei, nasce in modo attuale. Egli,al momento della sua nascita, è come deve essere dal punto di vista delle suecaratteristiche corporee, come gli animali. Al contrario, dal punto di vistadelle sue caratteristiche spirituali, cioè ciò che darà forma alla suapersonalità umana, sarà, invece, un essere potenziale.
    I suoi valori umani sono potenzialmente insiti nel suoessere e pronti per poter fiorire e svilupparsi.[47]
    Il livello spirituale dell’individuo si situa a unstadio successivo rispetto al livello fisico. Le parti del suo corpo sonoformate dagli agenti della creazione nel grembo della madre, mentre i suoimeccanismi spirituali e i componenti della sua personalità si sviluppano ecrescono successivamente al periodo embrionale. Per questo l’essere umano èdefinito l’architetto e l’ingegnere della propria personalità. A lui è statoconsegnato il “pennello” della creazione con cui disegnare la propriapersonalità (e non il proprio corpo).

    Nelle altre creature è del tutto impossibileimmaginare una separazione tra essi e la loro natura, cioè tra la pietra e ilsuo esser pietra, tra l’albero e il suo esser albero, tra un cane e il suoesser cane, tra un gatto e il suo esser gatto e così via. Nell’essereumano, invece, c’è un divario tra “se stesso” e la sua “natura”, cioè tra essereumano e umanità.

    Molti esseri umani non giungono allo stadiodell’umanità e si sono fermati alla sfera della brutalità, come alcuni uominiprimitivi selvaggi, e molti sono addirittura divenuti antiumani, come lamaggior parte dei cosiddetti popoli civilizzati. Come è possibile distinguereuna cosa dalla sua natura?

    È ovvio che la natura è una condizioneessenziale per l’esistenza: un essere di fatto ha una natura di fatto; mentreun essere che manca della natura di cui è degno, è soltanto un essere potenziale.

    È una giustificazione filosofica quella chel’esistenzialismo chiama il “principio dell’esistenza”: l’essere umano è unessere privo di natura che l’acquisisce in accordo alla propria scelta. Questoè stato confermato da filosofi islamici come Sadr al-Muta'allihin[48],che scrisse: “L’uomo non fa parte di una unica specie, ma è in realtà unessere multi-specie. Un individuo, infatti, può appartenere un giorno auna specie, e il giorno successivo a un’altra”.

    Di conseguenza appare chiaro che l’essere umanobiologico non può quindi essere considerato il reale essere umano. Egliè solo il sostrato dell’essere umano reale e, nelle parole dei filosofi, ilcontenitore delle facoltà della natura umana piuttosto che la natura umanastessa. Inoltre, è evidente che non ha senso parlare di umanità senza crederenel “principio dell’anima”.

    Fatta questa precisazione, possiamo ora definiremeglio il concetto di autocoscienza umana.

    Come sostenuto in precedenza, essa si basa sulprincipio per il quale tutti gli esseri umani sono da considerarsi un’unicareale “unità”. Essi hanno una coscienza comune che oltrepassa quella dellaclasse, della religione, della nazionalità e la coscienza razziale. Ciòrichiede una delucidazione su quale genere di esseri umani collettivamentepossiede un “Sé” unificato, governato da una “anima” comune. Chi sono lepersone nelle quali l’autocoscienza umana si radica e cresce? Essa risiede soloin coloro che hanno già compreso il senso dell’umanità e in cui i valori umanie la natura umana attuale si sono realizzati? Oppure in tutti gli esseri umanio in quelli degenerati la cui natura è cambiata e divenuta più brutale deglianimali? È posseduta da tutti gli esseri umani senza eccezione?

    È evidente che quando si parla di sensibilitàcomune, si intende che le persone sono come organi di un corpo, partecipandoognuno alla sofferenza dell’altro. Non tutti i tipi di persone descritti inprecedenza possono avere questo tipo di sentimenti. Come può una personaselvaggia, primitiva, il cui sviluppo si è arrestato allo stadio infantile eche è inconsapevole di sé e della sua natura umana, avere un simile sentimentocomune? Come può questo tipo di persona essere soggetta al governodell’“anima comune”? Il comportamento di un essere degenerato è ovvio, quindinon c’è bisogno di spiegarlo.

    L’“anima comune” estende il suo dominio solo su quegliesseri umani che hanno già ottenuto il senso dell’umanità, che hanno scopertola loro natura umana, che hanno pienamente sviluppato queste caratteristiche umaneed essi soltanto possono essere considerati come organi di un unico corpo.

    Queste persone, in cui sono cresciuti tali valoriinnati, sono i fedeli, perché la “fede” si colloca in cima alle disposizioni eai nobili valori umani.

    La conclusione è allora che quello che unifica il“Noi” di tutte le persone e che insuffla un’anima unita in loro così dacreare dei miracoli umani e morali è l’“unità della fede”, non il fatto diessere stati creati dalla stessa materia, come Sa'di affermava nella suapoesia. Quello che Sa'di riferisce è una condizione ideale: non è una realtà,anzi, non può nemmeno essere ideale. Come possono Mosè e Faraone esseremembri di un unico corpo? Come può Abu Dharr simpatizzare con Mu'awiyah?

    Quello che è sia reale che ideale è l’unità di fattodegli uomini che hanno ottenuto l’umanità e hanno acquisito virtù. Per questo,il nostro amato Profeta (S) non si riferisce agli “uomini” (“i figli di Adamo”)come agli organi di un unico corpo, come Sa'di erroneamente generalizza nellasua citazione del detto del Profeta (S); esso invece recita: “I credentisono come i membri di un corpo. Ogni volta che un membro è afflitto da dolore,gli altri sentono una simpatia, coinvolgendo se stessi nell’agonia e neltormento”.[49]

    Nessun dubbio che le persone di questo tipo sianogentili con tutte le persone e tutte le creature. Essi mostrano mitezza ancheverso i degenerati: questo è il motivo per cui Iddio chiama il Santo Profeta(S)

    “…Una misericordia per le creature”. (Sacro Corano, Sura Al-Anbiya', 21: 107)

    Questi uomini sono gentili anche con i loro nemici.L’Imam 'Ali (A) espresse il suo sentimento verso Ibn Muljam (colui chesuccessivamente lo assassinò), dicendo: “A me piace vederlo vivo, maegli cerca di uccidermi”. La cosa più importante, comunque, è “lasensibilità e l’affetto reciproci”, ed essi possono essere realizzati soltanto inuna comunità di “credenti”.

    È quindi ovvio che il pacifismo a oltranza e lamancanza di intervento verso le azioni illecite e gli oppressori non possonoessere definiti gentilezza verso tutti gli esseri umani. Al contrario, il realesentimento di fratellanza e umanità, in simili casi, richiede severiinterventi.

    Bertrand Russell[50]e Jean-PaulSartre[51] sono due sostenitori benconosciuti dell’umanesimo della nostra epoca. Eppure, Russell ha basato la suafilosofia morale su basi che contraddicono l’umanesimo da due punti di vista.La filosofia morale di Russell è basata sulla lungimiranza riguardo agliinteressi personali, cioè sulla garanzia di maggiori e migliori benefici, allaluce dei principi morali. Egli non considera nessun’altra filosofia riguardoalla moralità. Il suo umanesimo, comunque, conduce all’“adorazionedell’interesse”.

    L’umanesimo di Sartre, invece, come sostiene unoscrittore persiano contemporaneo[52], manifesta l’ansia delmondo occidentale prossimo al collasso. Lo scrittore esprime le sue idee sottoil titolo “I due aspetti del nichilismo nell’Occidente moderno”, affermando:“[…] quella borghesia entusiasta che conquistò la Bastiglia elevò la bandiera del nazionalismo oggi non ha nient’altro che il vuotosu cui riflettere. Le giovani generazioni in Occidente vivono su un puntovuoto. L’Occidente sta ricevendo ciò che aveva esportato: disordinesociale, disperazione, vagabondaggio, senso di meschinità, nichilismo ecosì via (…) Tutte cose che aveva imposto ad altri stati e civiltà. Unnichilista pensa: quello che non è per me, non deve essere per nessuno (…) e inquesto modo, egli marcia verso la sua autodistruzione”.

    Possiamo notare come un’altra reazione a questasituazione sia l’emergere del movimento romantico, una sorta di filosofiapro-umanità che ha attirato l’attenzione degli occidentali di vari livelli.Russell, con la sua semplice, pragmatica prospettiva si trova a un estremo diquesta filosofia, e all’altro estremo troviamo Sartre con le sue prospettivefilosofiche sofisticate e inquiete. In mezzo a questi due estremi troviamointellettuali di larghe vedute, politici ed economisti come Mende[53]che tentano di trovare soluzioni pratiche ai loro problemi e a quelli deglialtri.

    Sartre invece, con il suo atteggiamento gnoseologico,la sua libertà da ciò che può recare dipendenza, e la suaintricata teoria che reclamizza responsabilità e obblighi, è un'altramanifestazione dello spirito occidentale che, pieno di vergogna per i criminipassati, cerca di rimediare al passato. Egli, come gli Stoici, credevanell’uguaglianza, nella fratellanza, nella norma universale, nella libertà,nella giustizia e nella pietà, e rappresenta la tendenza intellettuale cheesiste ai nostri giorni in Occidente verso il sollievo dell’ansia del collassoattraverso un “umanesimo integrale”.

    Di fatto, nel sostituire la religione con l’umanesimo,Sartre cerca di chiedere perdono per se stesso e per tutto l’Occidente all’interogenere umano che, secondo questo pensiero, ha rimpiazzato l’idea di Dio. Ilriflesso evidente dell’umanesimo di Sartre si manifesta quando esprime la suasolidarietà a Israele difendendone l’innocenza, e al contempo biasimal’oppressione da esso compiuta nei confronti degli Arabi, in special modocontro i rifugiati Palestinesi!

    Il mondo ha sempre testimoniato simili manifestazionipratiche presentate da quegli umanisti occidentali che hanno firmato la pomposa“Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Queste dimostrazioni nonrichiedono ulteriori commenti.

    L’autocoscienza sociale, sia essa nazionale, umana odi classe, in quest’epoca viene definita coscienza intellettuale. Unintellettuale è colui che possiede solamente un tipo delle sopramenzionateautocoscienze. Egli sente il dolore della propria classe, della propria nazioneo il dolore umano e cerca di liberare la sua particolare classe, nazione ol’intero genere umano dalla sofferenza delle loro pene. Egli tende atrasmettere la sua coscienza a essi e stimolarli ad assicurarsi libertà datutte le prigioni sociali.


    7. Autocoscienzagnostica[54]


    Questa è la coscienza del proprio “Sé” nella suarelazione con l’Essere Divino. Questa relazione, secondo gli stessi gnostici,non è uguale a quella tra due creature aventi la stessa natura, simile allarelazione di un individuo con altri membri del genere umano. È larelazione tra il ramo e la radice, tra l’immagine e la figura reale e, usandole parole degli gnostici, tra il contingente e l’assoluto.

    Il dolore dello gnostico, contrariamente a quellodell’intellettuale, non è la riflessione sulle sofferenze esternenell’autocoscienza: è un dolore interiore, che nasce da un bisogno innato.

    L’intellettuale, essendo il suo dolore di tiposociale, prima acquisisce la coscienza, e poi quest’ultima lo rende sensibileal dolore. Nello gnostico invece, la sua coscienza è il dolore stesso in quantoil suo è un dolore interno: esso è simile a quello di una persona malata, è ilsegnale naturale che indica l’esistenza di un bisogno all’interno del corpo.Scrive Rūmī:

    Il rimorso della malattia e le lacrime dell’ustione,
    quandosopraggiunge la malattia, giungono alla coscienza.
    Più si èdesti, più dolore si ha da patire,
    più si èconsapevoli, più il volto pallido appare.
    Sappi alloraquesto principio, tu che cerchi la verità!
    Che ilprofumo è colto da chi soffre di dolore.[55]

    Il dolore dello gnostico e del filosofo non sono glistessi, ma entrambi soffrono per la verità; la meta del filosofo però è saperee riconoscere la verità, mentre lo scopo dello gnostico è raggiungere l’unionee l’estinzione nella Verità. Il dolore del filosofo lo distingue dalle altrecreature, cioè dagli oggetti inanimati, dalle piante e dagli animali perchéquesti ultimi sono privi della dolorosa lotta per la sapienza e la conoscenza.La sofferenza dello gnostico, invece, consiste nell’agonia dell’amore edell’attrazione, ed essa manca non solo agli animali, ma anche agli angeli,nonostante la loro sostanza sia la conoscenza e l’autocoscienza. Hafez[56]recita:

    Gli angelinon conoscono l’amore, non parlare invano,
    prendi uncalice di acqua di rose
    e versalasulla tomba di Adamo.
    Il suo voltobrillò, ed Egli vide angeli senza amore
    cosìEgli infiammò Adamo con le fiamme del Suo Amore.[57]

    Il dolore del filosofo manifesta la chiamata di unbisogno naturale alla “conoscenza”, perché di fatto l’essere umano ha desideriodi conoscere; mentre quello dello gnostico rivela la chiamata di un bisognonaturale d’amore, per cui l’individuo desidera prendere il volo e non darsipace fino a quando non raggiunge la Verità. Allo gnostico, la perfettaautocoscienza si identifica solamente con la “coscienza di Dio”.
    Egli dichiara non vero quello che il filosofo chiama“vero Sé”. Esso è solo “anima”, un oggetto esterno: il “vero Sé” non è altriche Iddio. Rompendo questo limite l’essere umano trova il suo “vero Sé”.

    Muhyi ad-Din al-'Arabi[58]nel suo libro Fusus al-Hikam, nel capitolo su Shu'aib, scrive: “Ifilosofi e i teologi hanno discusso molto riguardo ai modi per ottenerel’autocoscienza, ma questa non può essere acquisita attraverso i mezziche essi propongono. Chiunque considererà vero quello che i saggi affermano diavere afferrato sull’autocoscienza, si sta assolutamente sbagliando”.

    Uno dei problemi iniziatici principali, affrontato daShaykh Mahmud Shabestari[59] nel suo poema iniziaticoGolestan-e Raz, fu quello della natura del “Sé”[60]:
    Cosìtu hai chiesto, “cos’è il “Sé”’?
    Rendimicosciente del “Sé”, chi è il “Sé”?
    Quando“l’essere assoluto” è imprigionato
    lo si chiama“Sé”.
    La veritàche si determina,
    tu lachiamerai “Sé”,
    io e tesiamo il volto dell’essenza dell’essere,
    siamo larete che circonda la lampada,
    tutte lecose sono una luce,
    a volte sivedono nello specchio, a volte attraverso la lampada.

    Egli allora critica le definizioni dei filosofiriguardo all’“anima”, al “Sé” e all’autocoscienza, e continua:

    Tu pretendiche la parola “Sé” in tutti i suoi significati
    indichil’anima.
    Poiché haifatto dell’intelletto la tua guida,
    tu non conosciil tuo “Sé”, una parte di te,
    vai allora,o maestro, e conosci te stesso:
    diventaregrande e grosso non vuol dire crescere.
    Tu e iotrascendiamo il corpo e l’anima;
    perchéquesti due sono parti del “Sé”.
    Il “Sé” nonè unicamente confinato all’uomo,
    che tu possadire che sia confinato all’anima.
    Per unattimo trascendi l’universo e
    abbandona ilmondo, in te stesso scopri il mondo.[61]
    Rūmī scrive:
    O tu che haiperso te stesso nella vita,
    nonconsideri gli altri parte di te stesso,
    ti fermi aqualunque forma tu affronti,
    dicendo:“sono questo”; per Allah, non lo sei.
    Se tiallontani un momento dalla gente,
    rimani conestrema paura e soprappensiero.
    Come fai aessere questo? Tu sei l’Unico.
    Tu che seila bellezza e la felicità e pieno di “Sé”.
    Tu sei iltuo uccello, la tua trappola e la tua preda,
    il tuotrono, il tuo tappeto e il tuo tetto
    se tu seifiglio di Adamo, siediti come lui e
    scopridentro te stesso il tutto.[62]

    L’iniziato rifiuta dunque il fatto che l’anima sia il“vero Sé”. Egli asserisce che la conoscenza dell’anima non è l’autocoscienza,perché l’anima non è altro che una manifestazione del “vero Sé”, che non èaltri che Dio. Quando l’essere umano annichilisce se stesso e ignora tutti ifattori che determinano il suo essere, non rimane più nessuna traccia della suaanima. Allora egli potrebbe essere come una goccia che ritorna al maredell’Estinzione per approdare alla vera autocoscienza.

    È solo allora che l’essere umano diviene tuttele cose e tutte le cose divengono lui, divenendo finalmente consapevole del“vero Sé”.


    8. Autocoscienzaprofetica

    C’è una notevole differenza tra questo tipo dicoscienza e tutte le altre. I profeti sono in possesso sia dell’autocoscienzadivina che di quella del creato. Essi sopportano due tipi di sofferenza; perDio e per le creature. Ma questa non porta a una forma di dualismo. La loroattenzione non è verso duedirezioni, di cui una è Dio e l’altra lecreature; essi non hanno un occhio su Dio e l’altro sulle creature, e non dividonoi loro sentimenti egualmente tra Dio e le creature.
    Il Sacro Corano afferma:

    “Allah non ha posto due cuori nel petto dinessun uomo” (Sacro Corano, Sura al-Ahzab, 33:4).

    (così da poterli volgere in due direzioni)

    Con un cuore non si possono avere due amati. I profetisono gli eroi del monoteismo e nel loro comportamento non c’è il minimopoliteismo: né nei principi, né negli scopi, né nelle aspirazioni e nellesofferenze.
    Essi amano tutte le particelle della creazione inquanto manifestazioni dei nomi e degli attributi Divini.
    Sa'di scrive:

    Sono felicein questa dimora
    poiché Allahconcesse la felicità al mondo,
    amo tuttol’Universo, poiché esso proviene da Lui.[63]

    L’amore dei profeti verso il mondo è soltanto unriflesso del loro amore per Dio, piuttosto che una manifestazione contrappostaa esso. La sofferenza che essi patiscono per amore del creato nasce dalla loroattenzione per Dio, e non da un’altra origine. Il loro fine e desiderio ultimoè quello di condurre gli uomini verso la “Meta delle Mete”, cioè Dio.

    I profeti iniziano la loro missione con il desideriodi Dio, che li guida alla prossimità della Natura Divina. Questo desiderio è la“frustata” che li spinge verso la perfezione e li guida nel loro “viaggio daciò che è stato creato verso il Creatore”, e non li lascia un momento,fino a quando non arrivano a quella che l’Imam 'Ali (A) chiama la “Stazionedella certezza”.

    La fine di tale viaggio è l’inizio di un altro, vistocome “viaggio entro la Verità e con la Verità”. È in questo secondoviaggio che essi ricevono pieno appagamento e portano a termine un altro tipodi perfezione.

    Il secondo viaggio non è la meta per i profeti. Essinon si fermano nemmeno a questo stadio. Dopo essere stati colmati con la VeritàPerfetta, attraversando il ciclo dell’essere e le varie stazioni, essi sonodesignati profeti e partono per il terzo viaggio, che è il “viaggio dalCreatore verso ciò che è stato creato”. Essi tornano alla primaposizione, ma senza abbandonare quello che hanno ricevuto. Essi tornano alcreato in compagnia di Dio, non in Sua assenza. Questo viaggio è il terzostadio del perfezionamento del profeta.

    Il decreto alla Missione Divina, che subentra allafine del secondo viaggio, mostra l’effettivo inizio dell’autocoscienza e delladevozione verso l’umanità, che sono dovuti dall’autocoscienza e dalla devozioneverso Dio.

    Il ritorno all’umanità segna l’inizio del quartoviaggio e il suo quarto ciclo di perfezionamento. Egli viaggia tra le creature,accompagnato da Dio. Il fine di questo viaggio è di portarli verso l’infinitaPerfezione Divina, attraverso la Legge Islamica (Shari'ah), cioèattraverso la verità, la giustizia, i valori umani, e attraverso larealizzazione delle illimitate, celate, potenzialità umane.

    È ovvio, perciò, che quella chel’intellettuale considera una meta, per un profeta è una tra le stazioni dadove egli guida gli uomini, e quella che lo gnostico cerca, è compresa nelviaggio del profeta.

    Iqbal traccia così la sua linea di differenzatra l’autocoscienza gnostica e quella profetica: “Il Santo Profeta Muhammadascese al Paradiso, durante il Mi'raj[64], e tornò. Abd 'ul-Quddus di Gangoh, un grande santo della Tariqah {Ordine Sufi}, aquesto proposito affermò: ‘lo giuro su Allah, se avessi raggiunto quellostadio, non sarei mai più tornato sulla terra”.
    Iqbal continua: “(…) è oltremodo difficile trovarepoche parole come queste in tutta la letteratura Sufi che, in una singolafrase, riveli così meticolosamente la differenza psicologica tra il tipodi autocoscienza iniziatica propria del Sufi e quella profetica. All’uomo d’'irfandispiacerebbe ritornare alla vita terrena dopo aver raggiunto la stazione dellafiducia e della tranquillità attraverso l’“esperienza di congiunzione con laVerità”. Quando necessariamente ritornerà, non sarà comunque di molto beneficioa tutto il genere umano. Il ritorno del profeta, al contrario, è accompagnatoda un aspetto di creatività. Egli ritorna ed entra nel flusso del tempo al finedi modificare il corso della storia e, quindi, creare un nuovo modello diideali”.[65]

    Non è questa la sede per definire la correttezza o menodi questa interpretazione irfanica. Comunque è certo che i profeti perprimi soffrono per Dio. È la sofferenza della ricerca di Dio che lispinge in alto, sempre più in alto, verso di Lui, di cui poi si colmano.Secondariamente, essi soffrono per il creato.

    Questa sofferenza differisce da quella di unintellettuale. La sofferenza dell’intellettuale non è niente di più che unsemplice sentimento umano. È un’impressione, una passione e, moltevolte, come Nietzsche sottolinea, una debolezza. La sofferenza dei profeti è,d’altra parte, come la loro autocoscienza, piuttosto dissimile da quella degliintellettuali. Il fuoco che arde dentro l’anima dei profeti è un fuoco differente.

    È vero che un profeta raggiunge una maggioreespansione della sua personalità e non solo la sua anima si unisce con le animedegli altri e le circonda, ma si unisce al mondo intero, circondandolo.È vero che i profeti soffrono per i dolori della gente:

    “Ora vi è giunto un Messaggero scelto tra voi;gli è gravosa la pena che soffrite, brama il vostro bene, è dolce emisericordioso verso i credenti”. (Sacro Corano,Sura at-Tawba, 9:128)

    Fino a quasi distruggere se stessi:

    “Ti struggerai seguendoli, se non credono inquesto discorso?” (Sacro Corano, Sura al-Kahf,18:6)

    È vero che i profeti sono talmente afflitti daldolore e dall’angoscia a causa della fame, della miseria, dell’innocenza, dellaprivazione, della malattia e della povertà della gente, che essi non possonodormire tranquillamente per la loro apprensione sul fatto che ci sia qualchepersona affamata in una città lontana.

    L’Imam 'Ali (A), che seguiva il sentiero dei profeti,dice: “Lungi da me il farmi sopraffare dalla dissolutezza e dall’avidità chemi spingono ad acquistare i cibi più raffinati, mentre nell’Hijaz e nello Yemenvi può essere gente che non ha mai soddisfatto la sua fame. Dovreiriposare completamente sazio, quando ci sono molte genti affamate e assetateintorno a me?!”[66]

    Comunque, questi sentimenti non devono essereconsiderati soltanto una sorta di compassione mostrata da gente buona di cuore.Un profeta, essendo un essere umano, all’inizio del suo cammino possiede tuttele qualità positive che appartengono agli esseri umani, però dopo che ilsuo essere è interamente infiammato dal fuoco Divino, tutti questi attributiassumono un’altra connotazione, quella Divina.

    Ci sono differenze sorprendenti tra la gente e lesocietà che sono guidate e forgiate dai profeti e quelle guidate ed edificateda intellettuali e pensatori vari.

    La principale differenza consiste nel fatto che iprofeti cercano di risvegliare le facoltà umane innate e di illuminare gliistinti misteriosi e l’amore nascosti nel profondo dell’animo umano. Il ProfetaMuhammad (S) si definì “colui che fa ricordare” o “colui che risveglia”,colui che crea nell’essere umano una specie di sensibilità verso l’esistenzacome un tutto e trasmette alla gente la sua autocoscienza a questo riguardo.

    Il maggior risultato dell’intellettuale potrebbe, alcontrario, essere il risveglio della consapevolezza sociale della genteriguardo ai suoi interessi di classe o nazionali.

      الوقت/التاريخ الآن هو الجمعة 15 نوفمبر - 3:10:27